venerdì, luglio 30, 2010

polpette

Non ho una grande passione per le proteine di origine animale ma, lo ammetto, ho un debole per le polpette del ristorante di Ikea. Mi piace sentire il sapore della marmellata che si fonde con quello della salsina marrone, non posso fare a meno schiacciare le patate lesse con la forchetta.
Il ristorante è luminoso, i tavolo sono vicino alle finestre ed è possibile vedere la vita che scorre fuori. I miei pranzi a base di polpette svedesi inoltre si legano a ricordi piacevoli, a persone a cui voglio bene, Viola, Serena, Catia. Si mangia, si parla, si trascorre del tempo insieme.
Si tratta di luoghi fatti in serie, ma per una sorta di deformazione professionale, non posso fare a meno di andare alla ricerca di quei piccoli interventi personali prodotti da chi lì ci lavora: lo zucchero messo in un modo particolare, dove si decide di mettere le posate o i tovaglioli. E proprio' in quel momento che lo spazio inizia a diventare luogo.

martedì, luglio 27, 2010

Emma si annoiava, e molto.

Ma in fondo chi non si è sentita (e sentito) almeno una volta come la signora Bovary?

lunedì, luglio 26, 2010

cosa vuoi fare da grande?

Quante volte ci hanno fatto questa domanda quando eravamo piccoli? Io fin da bambina ero piuttosto indecisa e volubile su questo argomento e passavo con estrema facilità da:
-la pittrice (dopo aver visto la Cappella Sistina);
-la parrucchiera (portavo i capelli corti e invidiavo i capelli lunghi di mia cugina Simona);
-la ballerina (lo ammetto, ballavo davanti la televisione imitando Raffaella Carrà);
-l'archeologa (solo io ho visto la trilogia di Indiana Jones una decina di volte?);
-l'hostess (per una che ha paura di volare è il massimo).
Mi fermo agli anni di una Gabriella bambina, andando avanti con gli anni l'elenco e le motivazioni diventano più complicate, meno ingenue, magari dettate dalla moda di un momento.
Cosa voglio fare da grande? non rappresenta più una domanda fatta dai grandi, ma è la mia domanda. Una domanda che implicitamente coinvolge gli ultimi mesi della mia vita e una serie di questioni aperte nonostante io provi a nasconderle sotto il tappeto, come fosse polvere.

sabato, luglio 17, 2010

sassolini

La chiusura del mio cineclub, una serie di notizie poco piacevoli hanno occupato buona parte dei miei pensieri. Stamattina ho ingoiato l'ultimo sassolino (che poi tanto sassolino non era...) e aspetto di digerirlo nel giro di qualche giorno. Quest'estate presenta una novità, la considero così perché non voglio trasformarla in un altro sassolino difficile da digerire. Comunque, quest'anno trascorrerò l'agosto a Roma, al massimo si riuscirà a ritagliare un paio di giorni fuori ma nulla di più.
Ne approfitterò per godermi la città senza traffico e i luoghi che amo con una atmosfera tutta particolare. Un'atmosfera fatta di silenzio, tempi dilatati e aria densa.
La gelateria Fassi è una di questi luoghi. Faccio una premessa, secondo me il gelataio è un gran bel mestiere perché si rende felice la gente, io non ho mai visto qualcuno mangiare un gelato con un'aria triste.
La grande sala della gelateria mi riporta a tempi lontani, quando mangiare un gelato era un evento da santificare e per questa ragione si mangiava seduti, con calma, magari con il vestito buono. Il signor Matteo, mi accoglie sempre con un sorriso. Il gelato è buono e abbondante, ci sono alcuni gusti dai nomi demodè come malaga, nocciolato, zuppa inglese. Per non parlare delle caterinette, i sampietrini e la mitica coppa Fassi.
Io prendo sempre una cialda in più, il gelato alla nocciola è tra i miei preferiti, ma anche il cioccolato non è affatto male. Quindi mi siedo ad uno dei tanti tavolini e inizio a osservare gli altri clienti, immaginando da dove arrivano e dove andranno dopo la loro visita al Palazzo del Freddo.

venerdì, luglio 02, 2010

verità e bellezza


Accade spesso che alcuni luoghi che possiedono una personalità, indipendenza, originalità e fantasia, non reggano l'urto con una cultura omologante e essenzialmente rappresentata da pub, pizzerie, ristoranti, tavoli selvaggi ad ogni angolo delle strada. Mi fermo qui.
Il Grauco Cineclub è uno di questi luoghi magici. La piccola sala del botteghino ospita le tracce delle attività che si sono susseguite negli ultimi 35 anni. La libreria di legno scuro piena di libri mi ricorda che la conoscenza non ha punti di arrivo ma solo di partenza. I burattini rimandano ad un passato pieno di fermento e di creatività. La scrivania mi riporta alle lunghe sere di inverno trascorse a mangiare biscotti, parlare, scambiarsi ricette vegetariane. Il poster del caro vecchio Bill (Shakespeare) appeso sulle scale che conducono alla sala di proiezione mi accoglie sempre con quel suo sorriso enigmatico. E poi la sala: profumata e accogliente. Io mi siedo sempre nella seconda fila, perché mi piace avere un contatto quasi fisico con lo schermo. Ricordo ancora il primo film che ho visto al Grauco, Casco d'oro di Jacques Becker del 1952. E non dimenticherò l'ultimo film proiettato dal Grauco: L'ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich del 1971.