sabato, febbraio 24, 2007

cosa bacia coso

Giovedì ho fatto la mia prima donazione alla biblioteca del dipartimento di antropologia. Con ogni probabilità non rimpiangerò quel libro ed i suoi 175 fogli di carta patinata, ma potrebbe essere utile a qualche laurendo. In fin dei conti ho un debito con la biblioteca di antropologia: mi ha dato riparo quando fuori c'era troppo freddo (o troppo caldo), mille euro di una borsa di collaborazione, un buon numero di amici antropologi. Mi hanno detto che verrà messo in catalogo dopo l'estate.

la foto l'ho trovata qui.

domenica, febbraio 18, 2007

cambiare ramo


Ci risiamo. Ci sono io, un libro aperto a pagina 15, e la spiacevole sensazione di non trovare le parole per raccontare quello che ho in testa. Forse dovrei togliere quell'io e mettere al suo posto qualcosa di nuovo. O forse è arrivato il momento di cambiare ramo, questo sui cui sono appollaita ha fatto il suo tempo.

Per passare a qualcosa che non implichi i miei problemi con io, e per spiegare come mai, in un post sui miei dubbi esistenziali, ci sia l'immagine qui su... Sto leggendo "Il buio oltre la siepe" di Harper Lee. Qui si può dare un'occhiata alle prime pagine e a qualcuna in mezzo.

mercoledì, febbraio 14, 2007

san valentino santo subito

Aderisco con gioia all'iniziativa San Valentino Santo Subito dei Perturbazione se questo vuol dire avere un motivo in più per cenare, di giorno feriale, con alcune delle persone che amo (si amo!) di più. Nel post precedente c'è un assaggio dell'evento musicale di oggi.
Un anno in più

domenica, febbraio 11, 2007

bisogna vestirsi bene per andare a teatro

Non ero mai stata all'Argentina. Per l'occasione ho messo il maglione nuovo e gli orecchini della mamma, quelli che si impigliano sempre alla sciarpa. Bisogna vestirsi bene per andare a teatro. Marco Paolini ha raccontato il suo Sergente con una sedia, una coperta tagliata a metà e un telo bianco. Ed era come essere sul palco insiema a lui.

domenica, febbraio 04, 2007

l'eccezione

Non sono fatta per i post lunghi. Perchè tirarla tanto per le lunghe quando un pensiero può vivere comodamente in 6 righe? Ma quest'articolo di Claudio Fava, sull'Unità di oggi, merita il suo spazio, con le sue trentatrè righe.

Catania: la santa e gli assassini. Accadrà domattina, infallibilmente: i randellatori dello stadio Cibali, i fabbricanti di bombe carta, gli appiccatori di incendi, i «boia chi molla» urlati in faccia ai celerini riporranno i passamontagna in fondo all’armadio, s'infileranno nelle loro tuniche bianca lunghe fino ai piedi, prenderanno in mano ceri votivi al posto delle spranghe e così acconciati, con il viso devoto, accompagneranno sant’Agata patrona in giro per la città, come ogni 5 febbraio da che la memoria ci accompagna. Il tempo della vergogna e del lutto (un poliziotto scannato, cento feriti) sarà durato lo spazio di una notte, giusto il necessario per compilare dichiarazioni di sdegno e necrologi. Poi Catania tornerà alla sua beata irresponsabilità. Non è un calembour: è il ritratto della mia città, la sua corda morale. L’idea cioè che esista un tempo per gli stadi e uno per i santi, che il poliziotto morto si possa seppellire, la piazza della battaglia ripulire dalle macerie e il giorno dopo ritrovarsi tutti fedeli, tutti cresimati, con lo sguardo ripulito, a sfilare dietro il fercolo della patrona. Fingendo di non sapere che quello stadio e quella santa, le botte e la processione fanno parte della stessa città. Sarebbe stato un gesto bello e civile chiedere alla santa di rimanere in chiesa a vegliare anche lei questo povero morto. Sarebbe stato un gesto forte e carico di buon senso se il sindaco di Catania, il suo vescovo e le altre (come si usa dire in questi casi) “autorità civili e religiose” avessero deciso che non bastava sospendere la gara podistica e i fuochi d'artificio ma che, di fronte allo scempio e alla follia collettiva di venerdì notte, andava annullata ogni cerimonia religiosa. Anche per costringere questa città, così irriverente, così smemorata, a guardarsi per una volta allo specchio. Senza i paramenti del sacro. Senza i ceri e le candelore. Invece s’è deciso che tutto continui: tanto, che c’entra la santa con il calcio? La santa non c’entra. I devoti, sì. Uno o due anni fa, tra i fedelissimi intabarrati di bianco ci furono anche pistolettate, e un tale rimase gambizzato proprio mentre i botti per la patrona coprivano quelli del revolver. Il giornali ne riferirono come d'un dettaglio, una cosa curiosa, pittoresca. Ecco la tragedia: l’idea che questo spazio tra sacro e profano non debba mai essere riempito, che il mafioso possa scannare i picciriddi nelle botti d'acido e poi farsi la comunione in chiesa, che il tifoso possa sparare una bomba carta in faccia al poliziotto e il giorno dopo accompagnare la santa con la candelora del proprio rione. L’idea, insomma, che tutto si possa tenere perché tutto - in fin dei conti - è consentito. Scriveva venerdì, alla vigilia della partita, il quotidiano locale che Catania è città «sperta». Ovvero si fa rispettare: sempre. Era il loro modo per presentare il derby, per sciacquarlo nei sapori di vecchie furbizie, il solito modo per risolvere tutto con il rumore di una risata. La città è fabbricata su questo tenace concetto di impunità, la nostra “spertezza”, la sana rivolta contro qualcosa d’altro: lo Stato, i suoi poliziotti, i suoi giudici, le sue leggi, le sue regole... Il calcio non c’entra più, e nemmeno la rivalità tra Palermo e Catania che è una barzelletta, letteratura, cose da gattopardo. C’entra quest’idea malata che laggiù, nell’isola, tutto possa convivere, che tutto si tenga sempre sul palmo della stessa mano, botte e carezze, santi e assassini, spranghe e ceri votivi. In attesa che qualcuno trovi il coraggio per dire che la ricreazione è finita.